Carlo Pisani
Professore ordinario
Università di Roma “Tor Vergata”
Trasformazioni, valori
e regole del lavoro
Scritti per Riccardo Del Punta
a cura di
William Chiaromonte
Maria Luisa Vallauri
volume III
Firenze University Press, 2024
SOMMARIO: 1. La platea eterogena dei bassi salari. 2. Il contrasto ai contratti collettivi pirata: la strada maestra dell’erga omnes costituzionale. 3. L’impatto del salario minimo legale sui contratti collettivi stipulati dalle maggiori organizzazioni sindacali. 4. Il problema dell’assenza di margine economico per i nove euro l’ora e le differenziazioni territoriali del costo della vita. 5. La valorizzazione dell’efficacia erga omnes della contrattazione collettiva da parte della Direttiva dell’Unione Europea sui salari adeguati. 6. Le altre misure efficaci per contrastare i bassi salari. 7. Il neo-interventismo della giurisprudenza e la posizione del Cnel.
1. La platea eterogena dei bassi salari
Quello del salario minimo legale è uno di quei temi che dovrebbe essere trattato con modalità interdisciplinare, in quanto ogni prospettiva settoriale si rileva insufficiente per individuare le soluzioni più efficaci a un problema reale. In particolare, non si può comprendere appieno l’evoluzione del diritto del lavoro a partire dagli anni Settanta, se non si osservano i tratti salienti dell’economia e dei suoi cicli. Basti considerare che, con l’avvento epocale della globalizzazione, si è assistito alla soccombenza dell’occidente al dumping sociale causato dai paesi da lui definiti inferni lavoristici e ambientali.
Indubbiamente in questo fenomeno va ricercata una delle concause del problema dei bassi salari netti in Italia e del lavoro povero, in quanto la competizione nell’economia globalizzata ha determinato una sorta di “importazione” di retribuzioni al ribasso in alcuni settori, anche per mezzo di una contrattazione collettiva definita “pirata”.
Questo dumping interno, tra l’altro, è presente anche in alcuni paesi dell’Unione Europea, proprio per mezzo del salario minimo legale, come, ad esempio, in Bulgaria, che è pari a euro 1,62 l’ora, o poco più in Lettonia, in Romania, in Ungheria, tutte con salari minimi inferiori a 500 euro al mese (dati Eurofound). In realtà pochissimi paesi hanno un salario minimo legale di 9 euro.
Se si considera che la diffusione tra i paesi dell’unione europea del salario minimo per legge è uno degli argomenti più utilizzati dai fautori di tale misura, si comprende bene come il dibattito che si è sviluppato in Italia su questo tema soffra di una buona dose di pressapochismo e di astrattezza, come spesso accade per le prese di posizione fortemente politicizzate. Il giurista deve allora farsi carico della “fatica del concetto” di hegeliana memoria, per svolgere la sua funzione di cercatore di ordine, sforzandosi di individuare e segnalare la ragnatela dell’ordine che soggiace, invisibile ma reale, al di sotto della incomposta rissa delle idee.
In queste situazioni è sempre buon metodo avere chiare le cause dei problemi che si vogliono risolvere mediante una riforma legislativa.
In relazione al tema in esame, in prima battuta è facile rispondere che, con l’introduzione per legge, di un salario minimo, fissato in nove euro lordi, come da ultimo nella proposta di legge unificata di (quasi) tutti i partiti di opposizione (A.C. n. 1275), si ritiene che al di sotto di tale soglia vi sia il fenomeno del working poor, e comunque non venga rispettato il principio costituzionale della retribuzione sufficiente in quanto, anche se di poco al di sotto di 9 euro, una tale misura del salario non sarebbe in grado di garantire al lavoratore o alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa. Di qui l’obiettivo di innalzare la retribuzione per tutti indistintamente coloro che rientrano in tale platea.
Tuttavia, appunto analizzando le cause principali del fenomeno che si intende affrontare con tale tecnica, la situazione si complica in quanto non si tratta solo di contrastare i contratti c.d. “pirata”, ma anche di intervenire a sostegno dei sindacati maggiori in quei settori in cui essi non riescono ad ottenere, per i livelli più bassi di inquadramento, una retribuzione al di sopra di tale soglia, anche a causa dei ritardi dei rinnovi dei contratti, che incidono negativamente in modo particolare nei periodo di alta inflazione.
Infatti, i rapporti di lavoro con retribuzione inferiore ai 9 euro sono circa il 22 % del totale (2.840.893 lavoratori) e si concentrano tra gli apprendisti (59,5 %) e gli operai (26,2 %), nelle attività dei servizi di alloggio e ristorazione (27,1 %), del noleggio, nelle agenzie di viaggio, nei servizi di supporto alle imprese (34,3%), nelle attività artistiche di intrattenimento e di divertimento (29,2 %), nelle altre attività di servizi (61,6 %) ed in alcuni settori dell’agricoltura. I lavoratori che usufruirebbero di tale aumento si stima siano circa due milioni e mezzo, non è chiaro se apprendisti esclusi o no.
In questa platea sono compresi indubbiamente “anche”, ma non solo, i contratti collettivi c.d. “pirata”, sottoscritti dai soggetti dotati di scarsa o inesistente forza di rappresentatività, pur consentiti in base al principio di libertà sindacale ed in assenza dell’attuazione dell’art. 39 Cost.
Si tratta però di due problemi diversi tra loro, che spesso vengono accomunati nell’unica soluzione più comoda e più sbrigativa del salario minimo legale.