La Corte costituzionale, con la sentenza del 22 luglio 2022 n. 183, si è pronunciata sull’indennità risarcitoria prevista dall’art. 9, comma 1, del D. Lgs. n. 23/2015, dovuta nel caso di licenziamento ingiustificato intimato da datori di lavoro che occupano, nel Comune dove si trova l’unità produttiva in cui è addetto il dipendente licenziato, fino a quindici dipendenti, o non più di sessanta complessivamente.
La vicenda trae origine dalla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale del Lavoro di Roma, il quale ha rilevato delle “disarmonie”, relative alla predeterminazione dell’indennità prevista nell’ipotesi di datori di lavoro che non raggiungono i requisiti dimensionali di cui all’art. 18 della legge n. 300/1970, con riferimento a due profili.
Quanto al primo, la Corte, pur avendo ritenuto inammissibile la questione di legittimità sollevata in merito all’indennità prevista dall’articolo 9, comma 1, del D. Lgs. n. 23 del 2015 per i suddetti licenziamenti, ha rilevato che un’indennità compresa nell’esiguo divario tra un minimo di tre ed un massimo di sei mensilità vanifica la possibilità di adeguare il suo importo ad ogni singola e specifica vicenda, nell’ottica di un congruo ristoro ed un’efficace deterrenza, tale da configurare il licenziamento come extrema ratio.
Il secondo profilo di “disarmonia”, sempre a detta della Consulta, è che da un punto di vista operativo, la quantificazione dell’indennità nell’ambito del suddetto divario, tra tre e sei mensilità, dipende esclusivamente dal numero dei dipendenti, requisito che non rispecchia ormai più l’effettiva forza economica del datore, né la gravità del licenziamento e che inoltre non consente di commisurare l’importo dovuto al lavoratore al pregiudizio da questi effettivamente subito.
Da queste considerazioni, il giudice rimettente deduce la mancanza di “quell’equilibrato componimento tra i contrapposti interessi, che rappresenta la funzione primaria di un’efficace tutela indennitaria contro i licenziamenti illegittimi”.
Per porre rimedio ai profili di illegittimità costituzionale, il giudice rimettente aveva proposto diverse alternative, a cui corrispondono differenti opzioni di politica legislativa, quali, la definizione di criteri distintivi più complessi, l’eliminazione del regime speciale previsto per i piccoli datori di lavoro, la rimodulazione delle soglie di indennità.
Da ciò deriva il “monito” rivolto al legislatore di innalzare la soglia massima, attualmente prevista in sei mensilità di retribuzione, per i licenziamenti ingiustificati nelle piccole imprese.
La Consulta ha quindi riconosciuto l’esistenza di un vulnus normativo ma non è intervenuta direttamente sull’impianto legislativo, non avendo individuato una soluzione costituzionalmente adeguata che possa orientare l’intervento correttivo.
Inoltre, la Corte, ha “avvertito” il legislatore che l’ulteriore protrarsi della sua inerzia non sarebbe tollerabile e la indurrebbe a provvedere direttamente sulla materia, definita «di importanza essenziale per la sua connessione con i diritti della persona del lavoratore e per le sue ripercussioni sul sistema economico complessivo».
Si tratta di un avvertimento di inedita severità , più vicino ad una vera e propria “messa in mora” del potere legislativo e che appare come una inquietante manifestazione di una sorta di hybris giurisprudenziale, se si considera che è la stessa Consulta, in un altro passo della medesima sentenza, a riconoscere che non spetta a lei attuare tale riforma, bensì esclusivamente al legislatore (punto 6.2.1).
L’altro monito della Corte rivolto al legislatore è di ricorrere a “criteri distintivi più duttili e complessi, che non si appiattiscano sul numero degli occupati e si raccordino alle differenze tra le varie realtà organizzative e ai contesti economici diversificati in cui esse operano”.
Per la Consulta è urgente una riforma in tale materia, assoggettata a più interventi normativi stratificati, che investa, oltre ai criteri distintivi, anche i regimi applicabili ai diversi datori di lavoro e la funzione dissuasiva dei rimedi previsti per le diverse fattispecie.
Da segnalare, inoltre, che sempre la Consulta, nella precedente sentenza n. 194/2018, ha invece ritenuto costituzionalmente adeguata la soglia massima di sei mensilità per le imprese di maggiori dimensioni oltre i quindici o sessanta dipendenti. In quel caso, infatti, la Corte aveva censurato solo il meccanismo di predeterminazione degli incrementi di due mensilità di retribuzione agganciati a ogni anno di anzianità, ai fini del calcolo dell’indennità in questione ma non la sua misura massima. Argomentazioni simili erano contenute anche nella sentenza n. 150 del 2020.
In entrambe le pronunce, la Consulta aveva ribadito che la modulazione delle tutele contro i licenziamenti illegittimi è lasciata all’apprezzamento discrezionale del legislatore, che è vincolato al rispetto del principio di uguaglianza, che vieta di omologare situazioni eterogenee e di trascurare la specificità del caso concreto.
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