LE PRECLUSIONI NEL RITO DEL LAVORO – Rivista Judicium: il processo civile in Italia e in Europa
Carlo Pisani
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Sommario: 1. La nozione di preclusione e quella di decadenza 2. Le preclusioni per il ricorrente e per il convenuto nel rito del lavoro. 3. Il rigoroso sistema delle preclusioni in relazione alle tardive allegazioni dei fatti. 3.1 L’onere dell’allegazione tempestiva dei fatti 3.2 Assenza di “temperamenti” alle preclusioni delle allegazioni tardive dei fatti. 3.3 Prassi applicative dirette ad aggirare le preclusioni delle allegazioni tardive dei fatti. 4. Strumenti di temperamento al regime delle preclusioni delle prove e relativi limiti.
1. La nozione di preclusione e quella di decadenza
La dottrina processualistica ha variamente tentato di specificare i contenuti della nozione di preclusione. [1]
Se dal punto di vista lessicale il termine evoca l’effetto di “precludere”, giuridicamente esso si traduce nell’impossibilità di compiere un determinato atto o l’impedimento all’esercizio di un’attività. Tale fenomeno appare particolarmente evidente nei sistemi processuali in quanto costituisce una sorta di linea di confine che separa una fase dall’altra del processo. E’ indubbio, infatti, che la determinazione cronologica dello svolgimento di quest’ultimo avviene per buona parte attraverso la fissazione dei tempi degli atti processuali, i quali possono essere presidiati da autentiche norme imperative assistite da tecniche sanzionatorie, quali la decadenza o il termine perentorio. Sicché, la preclusione “rappresenta l’ingrediente di cui non si può fare a meno per costruire la nozione di processo inteso come serie di atti…cronologicamente ordinati in vista del provvedimento finale”. [2]
Nell’ampio dibattito dottrinale che si è sviluppato intorno all’inquadramento sistematico e alla definizione del concetto di preclusione, si possono, in estrema sintesi, individuare alcune differenti ricostruzioni.
Secondo la classifica definizione del Chiovenda, la preclusione consiste nella “perdita o consumazione di una facoltà processuale”. [3]
La teoria più radicale dubita invece dell’utilità di formalizzare la preclusione in un concetto tecnico, intendendo il fenomeno quale impossibilità sopravvenuta di esercitare un diritto. [4]
Un’altra concezione, dopo aver distinto la preclusione in senso lato e in senso stretto, definisce quest’ultima come conseguenza dell’inattività della parte la quale, potendo esercitare un diritto, o una facoltà entro certi limiti, o modalità previste dalla legge, invece non vi ha provveduto, venendosi così a trovare nell’impossibilità di esercitare quel diritto o quella facoltà in tempi successivi o con modalità diverse. [5]
Accostabile a questa ricostruzione è la teoria secondo cui la preclusione non deriva dal mancato esercizio di una facoltà, ma è una conseguenza dell’inadempimento di un onere, in quanto il mancato tempestivo svolgimento di un’attività non consente alla parte di conseguire un certo risultato. [6] E’ evidente che quest’ultima teoria concepisce, su di un piano generale, l’idea di onere nel processo come generale contrassegno dell’attività riservata alle parti in questo peculiare contesto, ossia come libertà di iniziativa all’origine estranea alla nozione di obbligo. [7]
Contribuisce a definire la nozione di preclusione la corretta individuazione della relazione che intercorre tra essa ed il concetto di nullità: quest’ultima può presentarsi come la sanzione inflitta per l’inosservanza della prescrizione di una determinata forma, [8] ma che soggiace a un proprio regime, diverso da quello che concerne le regole sulla preclusione; mentre la preclusione colpisce gli atti di un processo valido e non può riguardare un processo che si è definitivamente arrestato per effetto della nullità che colpisce un suo atto. E’ evidente, dunque, la differenza “ontologica” tra le due nozioni. [9]
In conclusione, si può definire la preclusione come la sanzione imposta all’inosservanza delle norme che regolano l’ordine e il tempo dell’attività delle parti. [10]
Più delicata è la questione della relazione intercorrente tra i concetti di preclusione e di decadenza. [11]
Si è infatti osservato che “non è facile distinguere tra decadenza e preclusione se non evidenziando l’autonoma elaborazione della nozione di preclusione nella sistematica chiovendiana imperniata sul rapporto giuridico processuale”, ritenendosi invece più producente, rispetto alla ricerca sul nesso tra decadenza e preclusione, il risalire dall’effetto alla causa, ossia all’inattività che dà luogo alla decadenza e alle sue ragioni. [12]
Tuttavia, per non giungere alla conclusione estrema della sinonimia tra le due figure, la decadenza, intesa nel senso di “perdita del diritto non esercitato”, [13] è stata vista come il profilo statico rispetto a quello dinamico rappresentato dalla preclusione, considerata come impossibilità di esercitare successivamente quel diritto. [14] In questo ordine di idee è stato affermato che la preclusione è l’effetto della decadenza, o più precisamente, la preclusione discende anche da una decadenza e quindi un effetto che può ricondursi a molteplici cause. [15]
Nello specifico contesto del processo civile le cause da cui deriva l’impedimento sono sostanzialmente il superamento dei confini che circoscrivono le diverse aree procedimentali, l’intervenuta decadenza o l’inutile decorrere del termine perentorio, anche se una parte della dottrina rinviene una sostanziale coincidenza tra il maturarsi di una decadenza e la scadenza del termine perentorio. [16] Entrambi questi eventi comunque, per quel che qui interessa, determinano una perdita, estinzione o consumazione di una facoltà processuale, e quindi una preclusione.
[1] Cfr. Attardi, voce “Preclusione (principio di)”, in Enc. dir., XXXIV, Milano, 1985, p. 893 ss., Id., “Per una critica del concetto di preclusione”, in Jus, 1959, p. 1 ss.; Tesoriere, “Contributo allo studio delle preclusioni nel processo civile”, Padova, 1983, p. 25 ss.; Andrioli, voce Preclusione (dir. proc. civ.), in Noviss. dig. it., XIII, Torino, 1966, p. 567 s.; Lozzi, voce Preclusione, II (dir. proc. pen.) in Enc. giur. Treccani, Roma, XXXIII, 1995, p. 1; Satta-Punzi, “Diritto processuale civile”, Padova, 1997, p. 285 ss.; Taruffo, voce Preclusioni (dir. proc. civ.), App. I, in Enc, dir., 1997, pp. 794-796; Comoglio, “Preclusioni istruttorie e diritto alla prova”, in Riv. dir. proc., 1998, p. 976 ss.; Verde, “Profili del processo civile”, Napoli, 1994, p. 329; Grasso, “Interpretazione della preclusione e nuovo processo civile in primo grado”, in Riv. dir. proc., 1993, p. 639 ss.
[2] Andrioli, “Preclusione” (dir. proc. civ.), cit., p. 568
[3] “Cosa giudicata e preclusione”, Riv. it. scienze giur., 1933, p. 1; difende questa nozione dalle critiche mossegli dall’Attardi in “Per una critica del concetto di preclusione”, cit., p. 1, Andrioli, “Preclusioni” (dir. proc. civ.) voce, cit. 567
[4] Attardi, voce Preclusione (principio di), cit., p. 894 ss.; Id., “Per una critica del concetto di preclusione”, cit., p. 1 ss; secondo cui “La costruzione di un principio di preclusione è, in realtà, priva di fondamento”, così Attardi, “Preclusioni”, voce, cit. p. 910; Satta-Punzi, “Diritto processuale civile”, Padova, 1997, p. 285 ss.;
[5] Taruffo, “Preclusioni”op. cit., p. 795
[6] Grasso, “Interpretazione della preclusione”, op. cit., p. 639 ss.
[7] Bona Ciaccia Cavallari, “Le preclusioni e l’istruttoria probatoria del nuovo processo civile”, Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, 896.
[8] Marelli, “La trattazione della causa nel regime delle preclusioni”, Padova, 1996, p. 147 ss.
[9] Grasso, op. loc. ultt. citt. e Taruffo, voce “Preclusioni”, cit., p. 805
[10] Bona Ciaccia Cavallari, “Le preclusioni”, op. cit., 899 897
[11] Balbi, “La decadenza nel processo di cognizione”, Milano, 1983, p. 21 ss.; Grasso, “Interpretazione”, op. cit., p. 644
[12] Mandrioli, “Diritto processuale civile”, Torino, 2009, vol. I, p. 462.
[13] Cfr. Taruffo, “Preclusioni”, op. cit., p. 795; Comoglio, “Preclusioni istruttorie”, op. cit., p. 976 ss.
[14] Cfr. Marelli, “La trattazione della causa nel regime delle preclusioni”, Padova, 1996, p. 11
[15] Tesoriere, “Contributo allo studio delle preclusioni”, cit., p. 75, contro, Mandrioli, “Diritto processuale”, op. cit. 462, in quanto nel concetto di decadenza è già inclusa quella “perdita” che ne dovrebbe costituire l’effetto.