Con la sentenza n. 22 del 22 febbraio 2024, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 2, 1° comma del d. lgs. n. 23/2015, limitatamente alla parola “espressamente”, nella parte in cui, nel riconoscere la tutela della reintegrazione ai casi di nullità, previsti dalla legge, per le ipotesi di licenziamento di lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, l’ha limitata alle nullità sancite “espressamente”.
In particolare, la Corte d’Appello di Firenze aveva riconosciuto la nullità del licenziamento irrogato per contrarietà alle norme imperative in materia di procedure per l’irrogazione di sanzioni disciplinari escludendo però la tutela della reintegrazione, in quanto non rientrante tra le nullità espresse elencate dall’art. 2, 1° comma del D. lgs. n. 23/2015 ai fini della reintegrazione.
La Corte di Cassazione, investita della questione, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della predetta norma con riferimento all’art. 76 Cost., affermando che l’esclusione delle nullità diverse da quelle “espresse”, non trovava giustificazione nella legge delega, che al contrario riconosceva la tutela reintegratoria nei casi di “licenziamenti nulli” senza alcuna distinzione.
La Corte costituzionale ha ritenuto fondata questa censura, evidenziando che il criterio direttivo aveva appunto riconosciuto la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo nei casi di licenziamenti nulli, discriminatori e di specifiche ipotesi di licenziamento disciplinare, esclusi i licenziamenti “economici”.
Inoltre, la Corte ha sottolineato che il riferimento ai “licenziamenti nulli”, contenuto nel criterio direttivo, non prevedeva la distinzione tra nullità espresse e non espresse, ma contemplava una distinzione soltanto per i licenziamenti disciplinari ingiustificati.
Il legislatore delegato, al contrario, ha introdotto una distinzione non solo per questi ultimi, ma anche nell’ambito dei casi di nullità previsti dalla legge, differenziandoli sulla base del carattere espresso o meno della nullità. Inoltre, prevedendo la tutela reintegratoria solo nei casi di nullità espressa, ha lasciato prive di regime sanzionatorio le fattispecie “escluse”, ossia quelle di licenziamenti nulli per violazione di norme imperative, ma privi della espressa sanzione della nullità che “per un verso, non avendo natura “economica”, non possono rientrare tra quelli per i quali la reintegra può essere esclusa, ma, per altro verso, in ragione della disposizione censurata, non appartengono a quelli per i quali questa tutela va mantenuta, senza che ad essi possa alternativamente applicarsi la tutela indennitaria, di cui al successivo art. 3, che riguarda le diverse fattispecie dei licenziamenti privi di giustificato motivo, soggettivo e oggettivo, o dell’art. 4, che opera in relazione ai soli vizi formali e procedurali riconducibili al requisito di motivazione di cui all’art. 2, comma secondo, della legge n. 604 del 1966 o alla procedura di cui all’art. 7 statuto lavoratori”. Sicché, ne è derivata una disciplina incompleta e incoerente rispetto al disegno del legislatore delegante.
In conclusione, dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma censurata, limitatamente alla parola “espressamente”, consegue che il regime del licenziamento nullo è lo stesso, sia che nella disposizione imperativa violata ricorra l’espressa sanzione della nullità, sia che ciò non sia previsto testualmente, sempre che risulti prescritto un divieto di licenziamento al ricorrere di determinati presupposti.
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