Il vaccino per gli operatori sanitari obbligatorio per legge e requisito essenziale per la prestazione
Carlo Pisani
Conversazioni sul lavoro dedicate a Giuseppe Pera dai suoi allievi
Virus, stato di eccezione e scelte tragiche
Le politiche del lavoro, economiche e sociali e la tutela dei diritti fondamentali nei tempi incerti dell’emergenza sanitaria e della crisi
La costruzione di un nuovo diritto del lavoro
Conversazioni sul lavoro a distanza
da agosto 2020 a marzo 2021
promosse e coordinate da Vincenzo Antonio Poso
Gruppo delle Conversazioni sul lavoro del Convento di San Cerbone
SOMMARIO: 1. I prodromi dell’intervento legislativo – 2. L’obbligo ma anche l’onere del vaccino introdotto dal D.L. – 3. Il problema interpretativo riguardante i lavoratori esentati. – 4. La rilevanza sistematica del D.L. per le altre mansioni ad alto rischio contagio: il vaccino come onere del lavoratore. – 5. La sospensione dalla prestazione e dalla retribuzione per chi rifiuta il vaccino con mansioni a rischio e gli obblighi del datore di lavoro ex art 2087 cod. civ.
1. I prodromi dell’intervento legislativo.
Il Governo Draghi, con il d. l. 1° aprile 2021, n. 44, è finalmente intervenuto per disciplinare le conseguenze sul piano del rapporto di lavoro del rifiuto del vaccino da parte degli operatori sanitari, intesi nell????accezione più ampia riferita, non solo agli esercenti le professioni sanitarie, ma anche a tutti gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, socio sanitarie, e socio-assistenziali, pubblica e private, nelle farmacie, para farmacie e negli studi professionali” (art. 4, comma1).
Ciò è avvenuto non tanto per il vivace dibattito tra i giuristi, ma sull’onda dell’indignazione che sollevavano le notizie mano a mano fornite dalle cronache di operatori sanitari no vax che avevano causato focolai di Covid negli ospedali e nelle case di riposo, che ha fatto scrivere, da ultimo, ad un editorialista equilibrato come Gramellini, sul Corriere della Sera, che “Nella hit parade delle cose allucinanti un posto di rilievo spetta a quei medici e infermieri ostili al vaccino che razzolano impavidi nelle corsie”.
L’Unione Europea, peraltro, ha messo del suo, in quanto, in una risoluzione approvata dall’Assemblea del 27 gennaio 2021, si può leggere che, per quanto riguarda “l’assorbimento” del vaccino “occorre garantire che i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno è politicamente, socialmente o altrimenti sottoposto a pressioni per farsi vaccinare, se non lo desidera farlo da solo” e che quindi occorre “garantire che nessuno sia discriminato per non essere stato vaccinato, a causa di possibili rischi per la salute o per non voler essere vaccinato”. Come si può notare,si tratta di un “manifesto” assai poco opportuno per aiutare una campagna vaccinale che in Europa stenta a decollare e che conferma l’impressione della non felice gestione da parte dell’Unione Europea della vicenda dei vaccini, soffocata dalla burocrazia sanitaria e da “alti e grandeggianti valori”, come scrisse Irti, che impediscono l’indispensabile pragmatismo necessario per affrontare efficacemente l’emergenza su scala planetaria.
La burocrazia italiana non è stata da meno: basti pensare che nel piano vaccinale della Regione Lazio è scritto che l’adesione alla vaccinazione sarebbe “libera e volontaria” anche per il personale sanitario, senza alcuna distinzione e senza neanche accennare alle possibili conseguenze a cui può andare incontro detto personale sul piano del rapporto di lavoro. Non da meno l’Inail, che si è segnalata per aver riconosciuto la tutela assicurativa prevista per l’infortunio sul lavoro anche a quel personale infermieristico in servizio in ospedale che non aveva aderito alla profilassi vaccinale e che poi aveva contratto il Covid.
Comunque, prima dell’intervento legislativo, nonostante alcune prese di posizione un po’ surreali, contrarie a qualunque imposizione, si era fatta strada l’idea che tali operatori dovessero essere comunque allontanati dal luogo dove svolgevano la loro attività; le differenze di opinioni emergevano, invece, più che altro sulle modalità con le quali poteva o doveva essere disposto tale allontanamento.
In attesa di una norma di legge specifica, uno dei provvedimenti “tampone” (tanto per rimanere in tema), adottati dai datori di lavoro, è stato quello di collocare in ferie l’operatore sanitario anche contro la sua volontà. Ad esempio, Il Tribunale di Belluno, con provvedimento del 19 marzo 2021, ha rigettato un ricorso -presentato addirittura in via d’urgenza ex art. 700 cod. proc. civ.- con il quale alcune infermiere, che avevano rifiutato il vaccino loro offerto -quello stesso vaccino che magari avrebbe potuto salvare la vita a qualche ottantenne-, si lamentavano di essere state per questo motivo messe in ferie senza il loro consenso e in ciò avevano prospettato un pericolo “imminente ed irreparabile”. Il Tribunale -inspiegabilmente senza condannarle alle spese di giudizio- ha ritenuto “fatto notorio” che le mansioni di infermiera comportino un alto rischio di contagio per sé e per gli altri, con conseguente legittimità delle loro collocazione unilaterale in ferie, quale misura presa dal datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 cod. civ., poiché tale rischio viene a configurare quelle “esigenze dell’impresa” che attribuiscono al datore di lavoro stesso la facoltà di stabilire il tempo di fruizione delle ferie stesse, ai sensi dell’art. 2019 cod. civ.
Il problema ovviamente si riproponeva una volta terminate le ferie, in quanto l'”allontanamento” previsto dall’altra norma utilizzabile, l’art. 271 D.lgs. 81/2008, riguardante il rischio di esposizione ad agenti biologici, rischiava di non essere sufficiente o non perfettamente adattabile per fronteggiare le peculiarità delle fattispecie in esame, sia perché nel caso del Covid-19 non è il datore di lavoro che mette a disposizione il vaccino, bensì l,autorità pubblica, sia perché tale norma prevede, come unica misura, un allontanamento temporaneo che potrebbe anche comportare un trattamento retributivo di miglior favore per il lavoratore, qualora le uniche mansioni disponibile siano quelle inferiori.