IL GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO DI LICENZIAMENTO E LE INCERTEZZE DELLA GIURISPRUDENZA
Carlo Pisani
Professore Ordinario di Diritto del Lavoro nell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Relazione tenuta al convegno presso la Corte di Cassazione su i “licenziamenti per giustificato motivo oggettivo ed i licenziamenti collettivi” in Roma, 26 aprile 2016.
in in Massimario di Giurisprudenza del Lavoro, 27 luglio 2016
sommario: 1. La creatività della giurisprudenza in materia di giustificato motivo oggettivo. – 2. La (in)sindacabilità del merito delle valutazioni tecniche, organizzative e produttive dell’imprenditore. – 3. L’interpretazione giurisprudenziale estensiva del repêchage e il nuovo art. 2103 cod. civ. – 4. L’arco temporale del repêchage. –
- La creatività della giurisprudenza in materia di giustificato motivo oggettivo.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è un terreno d’elezione particolarmente fertile per le creazioni giurisprudenziali.
Tali sono quelle riguardanti la rilevanza assegnata, ai fini della giustificazione del licenziamento, alla motivazione di ordine economico produttivo ed organizzativo dell’imprenditore, oppure quelle relative all’ampiezza mansionistica e temporale del c.d. repêchage.
In parte questa tendenza della giurisprudenza dipende dalla caratteristica dell’art. 3 l. n. 604/66 che è quella di norma a precetto generico, rientrante nella categoria delle norme elastiche o vaghe, giacché il precetto legale non specifica quali sono le ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.
Si tratta di una tecnica normativa molto in voga nel secolo scorso: basti pensare alla norma della giusta causa ex art. 2119 cod. civ. o, fino al 24 giugno 2015, dell’equivalenza, ai sensi dell’art. 2103 cod. civ., nel testo precedente al d. lgs. n. 81/2015.
Era l’ambizione del legislatore di governare le molteplici situazioni del rapporto di lavoro mediante appunto la tecnica della norma inderogabile a precetto generico, affidando poi al giudice del lavoro il suo adattamento al caso concreto.
Sappiamo che questa mediazione giudiziaria nei suoi eccessi ha dato vita all’uso alternativo del diritto. Ma anche a prescindere dagli eccessi, questa tecnica presenta una forte controindicazione: lasciando molto spazio al soggettivismo giudiziario accentua l’incertezza del diritto in relazione ad un aspetto fondamentale del rapporto di lavoro, come è quello del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Infatti il giustificato motivo oggettivo è una norma di importanza cruciale in quanto tramite essa si determina quale sia l’estensione del potere di licenziamento per motivi economici, sicché, unitamente al licenziamento collettivo, essa concorre a determinare l’organico delle aziende, essendo il regolatore della flessibilità in uscita (Napoli).
Si comprende così perché intorno all’interpretazione di queste parole (ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa) si scaricano le varie opzioni di politica del diritto di cui tutti gli interpreti, e quindi anche i giudici, sono inevitabilmente portatori, secondo la ben nota teoria della precomprensione quale caratteristica di ogni operazione ermeneutica (Gadamer, Orestano, Mengoni).
Si comprende altresì perché il legislatore, di fronte a queste incertezze, abbia reagito abolendo la sanzione della reintegrazione per il licenziamento marzo ingiustificato per motivi oggettivi per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015[2]. Ciò nella convinzione che la situazione di incertezza in questa materia è un forte disincentivo alla propensione all’assunzione da parte degli imprenditori italiani e stranieri.