Eterorganizzazione ed eterodirezione, quale differenza tra l’art. 2 Dlgs. 81/2015 e l’art. 2094 c.c.?
del Prof. Carlo Pisani
Ordinario di Diritto del Lavoro Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
in Guida al Lavoro, n. 48, 2015
1. Per interpretare l’art. 2, comma 1, d. lgs. 81/2015 è inevitabile procedere al confronto con le norme finitime di cui all’art. 409, n. 3 cod. proc. civ., e dell’art. 2094 cod. civ.
Da un punto di vista applicativo la distinzione più rilevante è quella con l’art. 409 n. 3 cod. civ. in quanto segna il (nuovo?) confine dell’applicazione della disciplina del lavoro subordinato.
Invero, in ragione della vicinanza (se non dell’identità?) della nuova fattispecie all’art. 2094 cod. civ., diventa più netto il confine con il lavoro autonomo parasubordinato a cui non si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
Ciò si evince, a contrario, dai quattro elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 2, co. 1, d. lgs. 81/15: a) la prestazione esclusivamente personale; b) le cui modalità di svolgimento sono organizzate dal committente; c) “anche” con riferimento ai tempi; e) e al luogo di lavoro.
Pertanto è sufficiente che anche uno soltanto dei suddetti elementi costitutivi sia assente nella fattispecie concreta perché non sia applicabile la disciplina del rapporto di lavoro subordinato. Resta salva, però, come vedremo, la possibilità del collaboratore di “conquistare” la subordinazione invocando direttamente l’art. 2094 cod. civ.
Al riguardo, non sorgono particolari problemi in relazione agli elementi del tempo, del luogo di lavoro e della prestazione esclusivamente personale. Infatti, se il committente non organizza anche soltanto i tempi della esecuzione della prestazione, ovvero anche soltanto il luogo, oppure se il collaboratore si avvale, anche se non in misura non prevalente, di mezzi propri o addirittura di suo personale, non si applicherà la fattispecie in esame.
Ad esempio, nelle cause in cui si pretende l’accertamento della subordinazione come dirigente, non essendovi l’orario fisso di lavoro, è escluso che il ricorrente possa invocare l’art. 2 in esame.
In ogni caso, sempre a proposito dell’orario, la sua eterorganizzazione da parte del committente o la sua eterodeterminazione da parte del datore di lavoro si riferiscono entrambe all’imposizione unilaterale di un determinato orario da parte del creditore della prestazione e non al caso in cui l’orario viene pattuito consensualmente nel contratto e, come tale, rispettato dalle parti.
Del resto, la giurisprudenza più condivisibile era già orientata nel ritenere non decisivi, per escludere la parasubordinazione, i soli elementi dell’obbligo di un orario e l’inserimento nell’azienda (cfr. ad es. Cass. 7 maggio 2015, n. 9224, in Guida al lav., 2015, n. 30, p. 22), proprio perché il coordinamento si realizza sovente mediante le suddette modalità.