Dignità del lavoro e reddito di cittadinanza: un’antitesi
Carlo Pisani, Professore ordinario di Diritto del lavoro – Università di Roma “Tor Vergata”
Massimario di giurisprudenza del lavoro n. 1/2019
Il saggio esamina la disciplina del reddito di cittadinanza mettendone in evidenza gli effetti negativi sotto l’aspetto della dignità del lavoro.
1. La dignità del lavoro nella costituzione
Il grido dell’operaio durante l’ennesima manifestazione “pro-TAV” di Torino: «non voglio il reddito di cittadinanza; voglio un cantiere in cui lavorare; voglio un lavoro dignitoso e sicuro», è l’emblema più efficace di ciò che si nasconde dietro la farraginosa legge sul reddito di cittadinanza (legge 28 gennaio 2019, n. 26, che ha conv. con modif. il decreto legge 28 gennaio 2019, n. 4), delle sue contraddizioni, della sua inefficacia e della sua ipocrisia. L’art. 1 di tale legge si apre con un’enunciazione molto impegnativa: «È istituito … il reddito di cittadinanza … quale misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro». Nel nostro ordinamento la dignità del lavoro è materia molto seria e delicata che quindi merita di essere trattata con attenzione, senza pressapochismo o, peggio, strumentalizzazioni a fini elettorali. Come è ampiamente noto, a differenza dello Statuto Albertino e delle altre Costituzioni europee di fine Settecento e Ottocento, la nostra Costituzione inserì il lavoro tra i fondamenti del nuovo Stato, per cui l’espressione “fondata sul lavoro” segna il tema di tutta la nostra Carta Fondamentale. Conseguentemente la Corte Costituzionale ha ripetutamente affermato che il lavoro non rappresenta solo un mezzo di sostentamento e di guadagno, ma è altresì un mezzo di estrinsecazione della personalità, ai sensi degli artt. 2, 3, 4 e 35 Cost. Secondo la Consulta, il diritto fondamentale di realizzare lo sviluppo della personalità, attribuito dall’art. 3 Cost., viene attuato principalmente attraverso il lavoro. È, questa, una concezione “lavorocentrica” dell’uomo proprio perché postula che lo sviluppo della personalità venga attuato essenzialmente mediante il lavoro, tanto da far parlare di «glorificazione teoretica del lavoro». La dignità dell’uomo che lavora è un valore assoluto che permea di sé tutto l’ordinamento e che va al di là del tipo di attività svolta, parificando i lavori gratificanti, creativi, non ripetitivi, con quelli alienanti, penosi, monotoni, parcellizzati o addirittura usuranti.