DEMANSIONAMENTO A SALVEZZA DELL’OCCUPAZIONE:TRA FORMALISMI E ABUSO DEL DIRITTO
Cass. sez. lav.12 aprile 2012, n.5780 – Pres.Rosselli – Est.Arienzo –P.M Viola (concl. conf.) –Fo.Sa.S.p.A. c. Mu.Gi.
(Conferma App. Genova,12/10/2009)
Categorie e qualifiche – Rifiuto preventivo espresso dal lavoratore contro un trasferimento giustificato – Demansionamneto – Liceità – Esclusione .
Il rifiuto del lavoratore nei confronti di un trasferimento giustificato non autorizza il datore ad adibirlo a mansioni non equivalenti, neppure con il consenso tacito del dipendente, in assenza della preventiva intimazione del licenziamento per il rifiuto illegittimo da parte del lavoratore del trasferimento medesimo. *
*(Massima redatta a cura della rivista)
NOTA
di Carlo Pisani
Prof. Ordinario di diritto del lavoro
Università di Roma “Tor Vergata”
in Massimario di Giurisprudenza del Lavoro, 1 marzo 2013
1- La sentenza in commento si muove sul piano scivoloso della deroga, tutta giuirisprudenziale, all’equivalenza, ammessa per salvare l’occupazione del lavoratore [1]
Naturalmente non vi è una norma in tal senso; anzi quella che c’è afferma l’esatto opposto, in quanto perentoriamente sancisce “ogni patto contrario è nullo” (art. 2103, comma 2, cod. civ.).
In questa situazione non è dato conoscere ex ante come formalizzare una simile deroga. E’ appunto nelle pieghe di queste fattispecie giurisprudenziali dagli elementi incerti che alle volte si insinua lo scaltro (avvocato) del lavoratore.
Nella specie, infatti, il datore di lavoro aveva prospettato al lavoratore un trasferimento che, secondo il giudice di merito e la Cassazione, “sarebbe stato assolutamente legittimo”; però ne aveva ottenuto un rifiuto; al chè il datore di lavoro, invece di licenziare il dipendente per notevole inadempimento agli obblighi contrattuali, lo aveva adibito a mansioni inferiori nell’unità produttiva dalla quale sarebbe dovuto andar via.
Non è dato sapere per quanto tempo il lavoratore abbia svolto le suddette mansioni inferiori; ma è ragionevole intuire che non ci sia stata una sua opposizione a questa adibizione, altrimenti la sentenza ne avrebbe dato conto. Anzi, l’affermazione del giudice di merito, confermata dalla Cassazione, secondo cui non sarebbe stato sufficiente nel caso concreto “dimostrare che il lavoratore ha prestato consenso a svolgere mansioni inferiori”, porta a pensare che vi sia stata un’accettazione per fatti concludenti da parte del lavoratore delle mansioni inferiori.
Poi, come succede spesso, il lavoratore ha cambiato idea e ha proposto la causa per la dequalificazione.
In questa situazione, la Cassazione ha ritenuto illegittima l’adibizione del lavoratore a mansioni inferiori in quanto il datore non gli aveva preventivamente intimato il licenziamento. La Suprema Corte ha richiamato al riguardo il suo “consolidato orientamento”, secondo cui, per integrare la fattispecie della legittima adibizione a mansioni inferiori, occorrono due elementi costitutivi: a) una situazione che renda concreta una prospettiva di licenziamento; b) l’accettazione delle diverse mansioni da parte del lavoratore.
La Cassazione ha ritenuto inesistente il primo requisito, per cui il secondo è diventato irrilevante in quanto, sempre secondo la Suprema Corte, il datore, una volta ricevuto l’illegittimo rifiuto del trasferimento da parte del lavoratore, avrebbe dovuto, prima, intimare il licenziamento disciplinare e poi, a quanto pare, proporre lui, o accettare la proposta proveniente dal lavoratore, di adibirlo a mansioni inferiori in alternativa al licenziamento; oppure avrebbe dovuto comunicare formalmente al lavoratore l’intenzione di licenziarlo per tale rifiuto, e nel contempo proporgli di accettare adibizione a mansioni inferiori, in alternativa al minacciato licenziamento.
A fronte di questo ragionamento sorge spontaneo chiedersi dove sia previsto tutto ciò. Qui già ci troviamo nel bel mezzo di una fattispecie di origine giurisprudenziale, con tutto quel che ne consegue in termini di incertezza. Sicchè sarebbe almeno consigliabile non indulgere in eccessivi formalismi in relazione a regole non scritte e quindi non conoscibili ex ante dal datore di lavoro.
[1] sia consentito, per brevità. Il richiamo a Pisani, Mansioni e trasferimento nel lavoro pubblico e privato, Torino, 2009, 34 e ss. In giurisprudenza, cfr. Cass., 10 ottobre 2005, n. 19689, in Giuda al lavoro, 2005, n. 49, 31; Cass. 7 febbraio 2005, n. 2375, in questa rivista, 2005, 481; Cass. 9 marzo 2004, n. 4790, in Riv. it. dir. lav., 2004, II, 789.