Intervista al Prof. Avv. Carlo Pisani, Professore Ordinario di Diritto del Lavoro, Università degli Studi di Roma Tor Vergata, il Messaggero, 9 dicembre 2024, Valeria Di Corrado.
La Cassazione ha dichiarato illegittimo il licenziamento di un dipendente di Cotral assente dal lavoro per uno stato di ansia.
Si era messo in malattia ma cantava al piano bar.
I giudici gli salvano il posto: «Il licenziamento è illegittimo. L’attività canora poteva aiutare la guarigione».
IL DOSSIER
ROMA «Si giova di uscire» è la formula magica che consente ai lavoratori con un certificato di malattia per “ansia depressiva reattiva” di uscire di casa e praticare qualsiasi tipo di attività ricreativa. Ultimamente, le aziende pubbliche e private stanno assistendo a un incremento di queste diagnosi, che lasciano poco spazio all’attività di verifica delle visite fiscali. Perché anche se il dipendente viene sorpreso a cantare in un piano bar la sera, come successo a un impiegato della Compagnia Trasporti Laziali che era in malattia per uno stato di ansia, il datore di lavoro non può licenziarlo. La Cassazione infatti, il 29 novembre scorso, ha confermato la sentenza con cui due anni prima la Corte d’appello di Roma aveva decretato che questa attività canora «poteva giovare alla guarigione» del lavoratore e, di conseguenza, che Cotral doveva reintegrarlo.
IL QUADRO NORMATIVO
«Il datore di lavoro non può conoscere la diagnosi, ma solo i giorni di prognosi – spiega l’avvocato Carlo Pisani, professore ordinario di Diritto del Lavoro all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata – Poi se il dipendente viene sorpreso a fare attività ludiche e ricreative, come appunto cantare un piano bar, può intimargli il licenziamento per insussistenza della malattia. In quel caso il lavoratore per giustificarsi deve esternare la diagnosi. E se si stratta di ansia depressiva reattiva, il principio è che “più mi distraggo e meglio sto”. Anche una partita di pallone, quindi, può essere terapeutica. Il punto è che siccome la norma che regge tutto questo è l’articolo 2119 del codice civile – una norma generalissima che risale al 1942 e prevede il recesso del contratto per una “causa che non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto” – i giudici hanno molta discrezionalità nell’interpretazione. Quando si trovano di fronte a un certificato medico che recita “si giova di uscire”, sono costretti a dare ragione al lavoratore». In questo quadro diventa difficile per le aziende accertare se ci siano casi di abusi dietro le diagnosi di ansia depressiva reattiva, di cui si registra un incremento negli ultimi anni.
ORIENTAMENTO MINORITARIO
«C’è un orientamento minoritario che fa un altro ragionamento – spiega il professore Pisani – Nel mondo del diritto ci sono le presunzioni: quando il giudice si trova davanti a un fatto ignoto, può risalire a chiarirlo con tanti fatti noti, gli elementi indizianti. Per rimanere su questo esempio, se eri idoneo ad andare in un piano bar e a cantare, perché non eri idoneo a venire a lavorare? Non tutte le malattie certificate dal punto di vista clinico, infatti, determinano una inidoneità allo svolgimento della prestazione lavorativa; dipende dal tipo di mansione che uno svolge. Il carpentiere affetto da lombosciatalgia ovviamente non è idoneo a fare il suo lavoro. Se uno è affetto da ansia depressiva reattiva e va a fare trekking in un bosco può essere plausibile, ma se va ad aiutare la moglie titolare di un bar, non lo è. Questa valutazione spetta al giudice». Determinante, in tal senso, può essere il fatto che si svolga un secondo lavoro retribuito durante la malattia o la durata del certificato medico. «Se un dipendente con l’ansia depressiva, disturbo per il quale – precisa Pisani – si danno almeno 30 giorni di prognosi, presenta un certificato di due giorni e magari coincidono con un weekend, un ponte o l’attività ricreativa nella quale viene sorpreso, siamo di fronte a un elemento indiziante fortissimo, che deve essere considerato in sede di giudizio. C’è tanto malcostume e le aziende non sanno come difendersi. Il legislatore nel 2012 (con la legge Fornero) e nel 2015 (con il Jobs act) ha operato due riforme che incidono sulla sanzione, rendendola più proporzionata. Però la Corte Costituzionale dal 2018 ha emesso ben 7 sentenze che hanno smantellato, di fatto, queste riforme».