La Corte costituzionale elimina il regime di tutela indennitaria previsto dall’art. 18 stat. Lav. per il motivo oggettivo di licenziamento da soppressione del posto
di Carlo Pisani
Professore ordinario di diritto del lavoro
Università degli Studi di Roma Tor Vergata
in Argomenti di Diritto del Lavoro, 6/22
Corte cost., sentenza 19 maggio 2022, n. 125 – Pres. Amato – Est. Sciarra
Licenziamento individuale – Art. 18, comma 7, L. n. 300/1970 – “manifesta insussistenza” – Illegittimità costituzionale.
E’ incostituzionale l’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92, limitatamente alla parola «manifesta», riferita all’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Sommario: 1. Il capovolgimento del regime di tutela per il motivo oggettivo di licenziamento previsto dall’art. 18 Stat. lav.: la reintegrazione diventa praticamente l’unica sanzione – 2. Ulteriori conseguenze sistematiche – 3. La disconosciuta differenza tra licenziamento per colpa e quello per soppressione del posto che giustificava la diversità di tutela. – 4. Le norme a precetto generico sono incostituzionali? – 5. Le differenti graduazioni dell’insussistenza “processuale” del fatto sul piano probatorio, negate dalla Consulta.
1. Il capovolgimento del regime di tutela per il motivo oggettivo di licenziamento previsto dall’art. 18 Stat. lav.: la reintegrazione diventa praticamente l’unica sanzione.
Prosegue incessante da parte della Corte costituzionale l’opera di smantellamento dei nuovi regimi di tutela introdotti con la L. n. 92/2012, e con il D. lgs. n.23/15. Dopo aver eliminato il meccanismo delle tutele crescenti con la prima coppia di sentenze (n.194/18 e n.150/20), la Consulta, con le pronunce n.125/22 e n.59/21, ha di fatto abolito anche il regime nella tutela indennitaria previsto dal nuovo art. 18 Stat. lav. per il motivo oggettivo di licenziamento, ripristinando il regime della tutela reintegratoria generalizzata in relazione alla modalità-motivazione tipica e più diffusa di tale licenziamento, e cioè quella per soppressione del posto.
Infatti, queste due più recenti sentenze (definirle “ultime” pare azzardato a questo punto), hanno ritenuto incostituzionale la norma del comma 7 dell’art. 18, nei suoi due elementi che la differenziavano dalla causale dell’insussistenza del fatto contestato del comma 4, e cioè l’attribuzione al giudice del potere equitativo di decidere se applicare la sanzione dell’indennità al posto della reintegrazione (sentenza n. 59/21), nonché il carattere di “manifesta” che doveva presentare l’”insussistenza” del fatto posto a base del licenziamento per motivi oggettivi (sentenza n. 125/22). Pertanto, la Corte ha cancellato dal comma 7, sia la parola “può”, sia la parola “manifesta”, mediante la ormai consueta tecnica della sentenza manipolativa mediante ritaglio ablativo.
A questo punto, dal combinato disposto di queste due sentenze, non solo la reintegrazione si presenta come la conseguenza necessaria e costituzionalmente obbligata della insussistenza del fatto di ogni tipo di licenziamento, sia disciplinare che economico, ma, inoltre, aspetto ancor più rilevante, la reintegrazione diventa ormai la sanzione inevitabile anche della ingiustificatezza “semplice” per quanto concerne il motivo oggettivo per soppressione del posto.
Invero, questa conclusione si ricava coniugando la duplice soppressione delle parole “può” e “manifesta”, con l’orientamento della Cassazione secondo cui il fatto che deve “sussistere” è composto inscindibilmente da entrambi gli elementi della fattispecie, e cioè la soppressione del posto e la prova dell’impossibilità del repêchage. La Suprema Corte aveva infatti concordemente respinto l’interpretazione più estensiva che si era affacciata tra i giudici di merito, secondo cui, al fine di escludere il carattere manifesto dell’insussistenza del fatto, fosse sufficiente la prova della soppressione del posto anche in assenza di quella dell’impossibilità del repêchage. La Cassazione aveva invece ripetutamente affermato che la reintegrazione era applicabile anche a fronte della manifesta insussistenza di uno solo dei due requisiti. Questo orientamento sarà destinato dunque a consolidarsi ulteriormente ora che non è più necessario che l’insussistenza sia manifesta.
Sicché, alla luce del suddetto assetto interpretativo, non si vede come possa essere configurabile una ipotesi di ingiustificatezza che non corrisponda anche alla “insussistenza (semplice) del fatto posto a base del licenziamento”. Pare evidente, infatti, che, al fine della sussumibilità in entrambe le fattispecie (insussistenza e ingiustificatezza), sia sufficiente che il datore di lavoro non riesca a dimostrare anche uno solo dei due suddetti elementi costitutivi, sicché il giudice non avrà altra scelta se non quella di condannarlo alla reintegrazione del lavoratore. Non a caso il legislatore aveva aggiunto l’aggettivo “manifesta”, in quanto altrimenti la tutela indennitaria non avrebbe avuto quasi mai applicazione, tranne, forse, nelle ipotesi marginali di violazione della buona fede e correttezza nella scelta dei lavoratori nel caso di licenziamento individuale plurimo, ove sia stata però già dimostrata la effettiva soppressione del posto e l’impossibilità della utilizzazione alternativa del lavoratore.