Trasferimento, autotutela, dequalificazione
Carlo Pisani
Prof.ordinario di diritto del lavoro
nell’Università di Roma “Tor Vergata”
in Giurisprudenza Italiana, luglio 2013
I
Cass. Sez. Lav. 23 marzo 2012, n. 4709, Pres. Vidiri; Rel. Balestrieri; P.M. Destro – MION S.p.a. c. R.G.
Trasferimento del lavoratore – Assenza delle ragioni giustificatrici – Eccezione d’inadempimento proposta dal lavoratore – Configurabilità – Nullità dell’atto di esercizio del potere – Sussistenza (C.c. artt. 2103, 1460 e 1418).
Il trasferimento non adeguatamente motivato a norma dell’art. 2103 cod. civ., determina la nullità dello stesso ed integra un inadempimento parziale del contratto di lavoro, con la conseguenza che la mancata ottemperanza da parte del lavoratore trova giustificazione sia quale attuazione di un’eccezione di inadempimento (art. 1460 cod. civ.), sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti.
II
Cass. Sez. Lav. 12 aprile 2012, n. 5780, Pres. Rosselli; Rel. Arienzo; P.M. Viola – Fondiaria S.p.a. c. Mu.Gi.
Trasferimento del lavoratore – Rifiuto preventivo contro un trasferimento giustificato – Demansionamento – Liceità – Esclusione (C.c. artt. 2103 e 1460).
Il rifiuto del lavoratore nei confronti di un trasferimento giustificato non autorizza il datore ad adibirlo a mansioni non equivalenti, neppure con il consenso tacito del dipendente, in assenza della preventiva intimazione del licenziamento per il rifiuto illegittimo da parte del lavoratore del trasferimento medesimo.
Sommario: 1. Trasferimento ingiustificato: invalidità e/o illiceità; 2. Le ricadute sul piano applicativo delle differenti qualificazioni; 2. Dequalificazione in alternativa all’illegittimo rifiuto di trasferimento giustificato
- Trasferimento ingiustificato: invalidità e/o illiceità
La questione in diritto toccata dalla prima sentenza in commento è di una certa complessità. Si tratta, infatti, del problema della qualificazione giuridica del trasferimento ingiustificato, se in termini di nullità-invalidità e/o di inadempimento-illiceità[1].
Preliminarmente va precisato che la sentenza si occupa solo del trasferimento ingiustificato, nonostante l’accenno ivi contenuto ad un radicale mutamento della posizione lavorativa” potrebbe far pensare ad un ulteriore profilo di illegittimità dello spostamento del lavoratore, consistente nell’adibizione a mansioni non equivalenti; ed invece quest’ultimo aspetto non è stato esaminato dalla sentenza in quanto rimasto assorbito dalla insussistenza delle ragioni giustificatrici poste dalla società a base del trasferimento.
Il problema, peraltro non nuovo, riguarda, dunque, la conciliabilità tra le qualifiche di illiceità e di invalidità: può un atto improduttivo di effetti essere anche illecito e configurarsi come inadempimento, con tutte le relative conseguenze, sia in termini di eccezione di inadempimento, che di risarcimento del danno[2], come sembra aver ritenuto la sentenza in commento?
Occorre fare i conti, in sostanza, con la tesi, difficilmente superabile, sostenuta da autorevole, e forse anche prevalente, dottrina, [3] secondo cui i poteri di gestione del rapporto da parte del datore di lavoro (ius variandi, potere direttivo, potere di trasferimento, ecc.), esercitati al di la` del limite posto dalla legge, « comportano l’inidoneità` dell’atto a produrre l’effetto a cui tende », [4] trattandosi di un potere non riconosciuto dall’ordinamento. Qui, dunque, saremmo di fronte alla tecnica della invalidazione che impone non un obbligo ma un limite all’attività` e quindi al potere privato del datore di lavoro.
Ulteriore sviluppo di questa ricostruzione e` la configurabilita` della mora credendi del datore di lavoro, in ragione della sua richiesta della prestazione difforme da quella esigibile, anche per quanto riguarda il luogo di esecuzione della stessa; ciò comporta, contestualmente ed inevitabilmente, la carenza di cooperazione creditoria ai fini dell’adempimento delle mansioni dovute, [5] con conseguente facolta` del lavoratore di porre in mora il datore di lavoro mediante intimazione a ricevere la prestazione secondo le forme d’uso (art. 1217 c.c.), [6] acquisendo in tal modo il diritto di conservare integralmente la precedente retribuzione, [7] sia pure, secondo alcuni, sotto forma di risarcimento. [8] Il lavoratore acquisisce, inoltre, la facolta` di rifiutare il trasferimento senza subire alcuna conseguenza pregiudizievole, ne´ sul piano disciplinare ne´ su quello retributivo.
Tuttavia la suddetta tecnica dell’invalidazione dell’atto lascia insoddisfatta l’esigenza di riparare le conseguenze dannose che l’esecuzione materiale dell’atto privo di effetti medio tempore abbia provocato.
Di qui lo sforzo di parte della dottrina di dimostrare che invalidazione e sanzione di carattere riparatorio sono rimedi tra loro non del tutto inconciliabili. [9] La soluzione, pero`, non e` affatto semplice perche´ nella dottrina civilistica si afferma una simile conciliabilita` con riferimento ad ipotesi specificamente previste di nullita` , a cui viene attribuita anche funzione sanzionatoria del comportamento delle parti negoziali. [10]
In assenza di una previsione analoga della legge in relazione alla violazione della regola della giustificazione dell’esercizio del potere del datore di lavoro, si e` tentato allora di recuperare la fattispecie risarcitoria individuando in tale precetto una doppia natura: non solo limite legale all’esercizio del potere, in questo caso di trasferimento, ma anche obbligazione di “non fare” gravante sul datore di lavoro e consistente nel non spostare il lavoratore in altra unità produttiva in assenza di “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”. [11] Pertanto l’attuazione di fatto del provvedimento illegittimo adottato senza rispettare tale regola costituisce anche inadempimento contrattuale, consistente in un fatto positivo compiuto in violazione di un divieto. [12]
A questa tesi aderisce la sentenza in commento e le altre precedenti conformi[13].
[1] Sia consentito, per brevità, il rinvio a C. Pisani, Mansioni e trasferimento nel lavoro privato e pubblico, Utet, Torino, 2009, pag. 49 e pag. 176
[2] Cfr. per tutti, A. Di Majo, Tutela e risarcimento, restitutoria, sanzionatoria, in Enc. Giur. XXXI, Roma 1999, pag. 16
[3] Giugni, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, Napoli, 1963, pag. 368; Persiani, Contratto di lavoro, Padova, 1966, pag. 195; Liso, La mobilita` del lavoratore in azienda: il quadro legale, Milano, 1982, pag. 12; Ghera, Le sanzioni civili nella tutela del lavoro subordinato, in Dir. lav. rel. ind., 1979, pag. 336; Vallebona, Tutele giurisdizionali e autotutela individuale del lavoratore, Padova, 1955, pag. 126; Pisani, La modificazione delle mansioni, Milano, 1996, pag. 227;
[4] Cosı` Giugni, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, cit., 368.
[5] Giugni, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, cit., 370; Ghera, Le sanzioni, cit., 336; Ghezzi, La mora del creditore del rapporto di lavoro, Milano, 1965, 171; Speziale, Mora del creditore e contratto di lavoro, Bari, 1992, 139 s.; Balletti, La cooperazione del datore all’adempimento dell’obbligazione del lavoro, Padova, 1990, 42; Ghera e Liso, Mora del creditore, in Enc. Dir., XXVI, Milano, 1976, 977.
[6] L’offerta della prestazione lavorativa non richiede requisiti formali, bastando la mera messa a disposizione anche con lettera del legale (Cass., 18 maggio 1995, n. 5482, Mass. giur. lav., 1995, suppl., 36; Id., 13 marzo 1997, n. 2232, Giust. civ., 1997, I, 2480), e puo` essere fatta una volta per tutte anche per il futuro non occorrendo una reiterazione a intervalli regolari (Cass., 18 maggio 1995, n. 5482, cit.).
[7] Cfr. Ghera e Liso, Mora, cit., 977; Vallebona, Tutele, cit., 127 s.; Mancini, Il recesso unilaterale e i rapporti di lavoro, Milano, 1963, 234. Nel senso dell’obbligo di pagare la retribuzione e non un risarcimento, cfr. Cass., 18 aprile 1984, n. 2521, Giust. civ., 1984, I, 3062; Id., 14 febbraio 1996, n. 1131, Mass. giur. lav., 1996, suppl., 33 s..
[8] Cfr. Mengoni, In tema di mora credendi nel rapporto di lavoro, Temi, 1954, 581;Ghezzi, op. cit., 120; Giugni, Mansioni, cit., 371.
[9] Vallebona, Tutele, cit., 38. Aderisce Pisani, Equivalenza delle mansioni e oneri probatori, Riv. it. dir. lav., 2003, I, 475 s.; Pedrazzoli, Lesioni di beni alla persona e risarcibilita` del danno, Giur. dir. lav. e relazioni ind.; Tursi, Il danno non patrimoniale alla persona nel rapporto di lavoro: profili sistematici, Riv. it. dir. lav., 2003, I, 293; Pozzaglia, I limiti ai poteri del datore di lavoro: tutela reale o risarcitoria?, Mass. giur. lav., 2006, 446.
[10] Si suole fare l’esempio della nullita` del contratto presupposto per la applicazione delle sanzioni risarcitorie o restitutorie conseguenti alla eliminazione del rapporto oppure all’invalidita` del contratto per vizi del consenso che in determinate ipotesi connotate da particolare gravita` fa salva l’applicazione della misura risarcitoria, ove il contraente abbia subito danno dalla conclusione del contratto: cfr. Roppo, Il contratto, Bologna, 1977, 182; Di Majo, op. cit., 16; Ghera, Le sanzioni, cit., 308.
[11] Quindi non obbligo di fare per il datore di lavoro, come invece sostengono le sentenze che propugnano un generale diritto del lavoratore alla esecuzione della prestazione lavorativa: cfr. ad es. Cass., 17 settembre 2008, n. 23744, Arg. dir. lav., 2009, 1, 131.
[12] Cfr. Vallebona, Tutele, in Riv. it. dir. lav., 2003, I, pag. 477; 38; Pisani, Equivalenza delle mansioni e oneri probatori, cit., 477. Anche Tursi, op. cit., 295, ritiene che nel rapporto di lavoro invalidita` e illiceita` non sono alternative ma concorrenti, come accade ogni volta che un illegittimo atto di esercizio di un potere abbia causato un danno al lavoratore, sulla base, pero` , dell’argomento un poco generico secondo cui dopo lo Statuto dei lavoratori il valore della persona umana e` entrato nel contratto di lavoro.
[13] Cass. 10 novembre 2008, n. 26920 in, Guida al lav., 2008, n. 49, pag. 53; Cass. 9 marzo 2004, n. 4771, in Mass. Giur, Lav., 2004, pag. 473, n. 12; Cass. 28 settembre 2006, n. 21037, in Mass. Giur. Lav.; 2007, pag. 27