I LIMITI ALLA MOBILITÁ ORIZZONTALE TRA VECCHIA E NUOVA DISCIPLINA
a cura di Carlo Pisani
Professore Ordinario – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
in Massimario di Giurisprudenza del Lavoro, 17 Marzo 2016
Sommario: 1. Questioni di diritto intertemporale in relazione all’applicazione del nuovo limite alla mobilità orizzontale. – 2. L’interpretazione “evolutiva” della regola dell’equivalenza coerente con la nuova norma.
1. Questioni di diritto intertemporale in relazione all’applicazione del nuovo limite alla mobilità orizzontale
La sentenza in commento ha affermato che la nuova disciplina del mutamento orizzontale delle mansioni, di cui al “nuovo” art. 2103, comma 1, cod. civ., non si applica allorquando l’adibizione alle mansioni, pur perdurando successivamente alla data di entrata in vigore della nuova norma, sia stata disposta in data antecedente, in quanto, secondo tale pronuncia, ciò che rileva a tal fine è “il fatto generatore” del diritto fatto valere, cioè il demansionamento.
Altra sentenza di merito è giunta invece alle conclusioni opposte, sostenendo che la nuova disciplina si applichi anche ai mutamenti di mansioni disposti prima del 25 giugno 2015 (data in entrata in vigore della nuova norma), ma ancora in atto dopo quella data e ovviamente solo per il periodo successivo alla data medesima[1].
La seconda soluzione appare più convincente[2].
Invero, il fatto costitutivo del demansionamento consiste nello svolgimento delle mansioni inferiori da parte del lavoratore giorno dopo giorno. Il lavoratore viene mantenuto in questa condizione, appunto de die in diem, dal datore di lavoro in forza dei suoi poteri gerarchici di direzione dell’organizzazione. Sicché condivisibilmente la sentenza del Tribunale di Roma sopra citata lo aveva definito come una sorta di illecito permanente.
Pertanto, qui il principio tempus regit actum non può essere riferito solo all’atto iniziale di adibizione alle nuove mansioni. Questo, infatti, si configura solo come l’atto di predisposizione al “posto” lavorativo; è un atto giuridico diretto a incidere sulle modalità della prestazione[3]. Ma lo è anche la condotta successiva del datore di lavoro che, giornalmente, reitera, anche implicitamente, il suo provvedimento esecutivo di adibizione nella misura in cui non adempie all’obbligazione di non fare su di lui gravante, e cioè di non adibire il lavoratore a mansioni non equivalenti[4]. Di qui, dunque, il carattere “permanente” dell’illecito, il quale infatti è astrattamente idoneo (salva la prova concreta) a produrre danni ogni giorno che il lavoratore viene mantenuto nella suddetta illegittima condizione.
L’applicazione della disciplina vigente al momento dell’atto concerne la differente tipologia di atti di esercizio dei poteri del datore di lavoro i quali comportano il compimento di un’attività negoziale diretta ad estinguere, sospendere o modificare temporaneamente il rapporto (es. licenziamento, messa in cassa integrazione guadagni, sanzioni disciplinari).
[1] Trib. Roma, 30 settembre 2015, n. 8195, in questa rivista, 2015, 777.
[2] Cfr. la nota alla suddetta sentenza, Pisani, Riforma della mobilità orizzontale e sua immediata applicabilità, in questa rivista, 2015, 780.
[3] Cfr. Vallebona, Tutele giurisdizionali e autotutela individuale del lavoratore, Padova, 1995, p. 55; Pisani, La modificazione delle mansioni, Milano, 1996, p. 23. Si è esclusa in questo caso la fattispecie novativa: cfr. per tutti, Giugni, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, Napoli, 1963, p. 386; Treu, Sul c.d. recesso modificativo dal rapporto di lavoro, in Riv. società, 1962, p. 861; Mengoni, Job evaluation e ordinamento pubblico italiano, in Dir. economia, 1960, p. 1247; Greco, Il contratto di lavoro, Torino, 1939, p.386.