MATRIMONI DI COMODO, PENSIONI DI REVERSIBILITÀ E PRINCIPIO DI REALTÀ
Carlo Pisani
Professore ordinario – Università di Roma “Tor Vergata”
in Massimario di Giurisprudenza del Lavoro, 16 novembre 2016
1. Il tema su cui si è espressa la Corte Costituzionale con la sentenza n. 174/16 si presta ad essere trattato con buona dose di ipocrisia o, meno crudemente, ignorando il principio di realtà, in nome di astratte concettualizzazioni giuridiche che in questo caso distolgono dalla percezione, appunto, del reale.
Ed infatti, l’interrogativo che solleva la sentenza in commento potrebbe essere così sintetizzato: secondo l’id quod plerumque accidit è ragionevole o no presumere che il matrimonio, ad esempio, tra una bella donna moldava ventenne emigrata in Italia senza lavoro con un ultrasettantenne titolare di una buona pensione sia dettato, piuttosto che da “comunione di vita spirituale e materiale”, per scambiare sesso e cure con la futura pensione di reversibilità?
Se al suddetto quesito si ritiene di rispondere affermativamente, la sentenza della Consulta è sbagliata, in quanto non si tratterebbe più, come afferma invece la Corte, di “enfatizzare la patologia del fenomeno”, quanto piuttosto di prendere atto che la “patologia” è la prassi; non più una “situazione-limite”, bensì, come dicono i sociologi, una “dinamica del reale” che il giurista non può rifiutarsi di valutare, pena un astrattismo dommatico.
Cadrebbe anche l’accusa di “intrinseca irragionevolezza” mossa dalla Consulta alla norma. La Corte non spiega perché sarebbe irragionevole non far godere per venti-trent’anni della pensione di reversibilità la suddetta ragazza della Moldavia per un matrimonio durato meno di un anno con un ultrasettantenne, ovviamente in assenza di figli; e per quale motivo lo sarebbe un incremento della pensione progressivo fino ad arrivare a pieno regime dopo dieci anni di matrimonio; tutto ciò, a fronte delle ben note difficoltà della finanza pubblica e dello Stato sociale.