di C. Pisani –
LABOR, Il lavoro nel diritto, 2021
Pacini Editore Srl
L’Ancien régime della Consulta per la riforma dei regimi sanzionatori del licenziamento.
1. Nell’operazione di riforma dei regimi sanzionatori del licenziamento la Corte costituzionale ormai si sostituisce al legislatore. In questa ultima sentenza la Consulta non gradisce un eccessivo potere discrezionale del giudice e quindi lo vincola alla reintegrazione nel caso di licenziamento per motivo oggettivo manifestamente infondato. Nelle due precedenti sentenze (n. 194/2018 e n. 150/2020), invece, aveva ritenuto incostituzionale il meccanismo delle tutele crescenti perché, all’opposto, aveva sottratto discrezionalità al giudice nella determinazione dell’indennità per il lavoratore in caso di licenziamento ingiustificato.
Poche volte nella sua storia la giurisprudenza costituzionale è stata così apertamente restauratrice e contraria alle riforme volute dal legislatore in materia di lavoro.
La suddetta tendenza “paralegislativa” della Consulta si evidenzia maggiormente nella sentenza in esame in quanto, pur non spingendosi a rinnegare il suo principio secondo cui la reintegrazione non è costituzionalmente necessitata, la Corte però pone in discussione un altro caposaldo del regime sanzionatorio del licenziamento scelto dal legislatore post-statutario, e cioè la riduzione ad eccezionalità e a residualità della tutela reintegratoria nel licenziamento per ingiustificato motivo oggettivo, “salvata” in extremis, e solo temporaneamente, dalla legge n.92 del 2012, in virtù di un compromesso politico.
Di questa mediazione operata dal legislatore si mostra consapevole anche la Corte, nel passo della motivazione in cui si legge che: “L’attuale formulazione scaturisce dalla mediazione tra opposte visioni, all’esito di un acceso dibattito parlamentare. Le critiche alle disarmonie della previsione censurata, emerse nel corso dell’approvazione del disegno di legge … non hanno condotto alla reintroduzione della reintegrazione obbligatoria, pur proposta a più riprese” (punto 6, 3°cpv). Questa affermazione della sentenza appare significativa del ruolo che si è autoassegnata la Consulta in questa materia. Infatti, non solo viene ignorata la suddetta mediazione voluta dal legislatore, ma traspare l’intenzione, per così dire, di “rimettere le cose a posto”, laddove non erano riuscite, per mancanza di forza parlamentare, e quindi di voti, le forze politiche di opposizione. Non a caso, nel far ciò, la Corte utilizza il termine “disarmonie”, che, se è concetto giuridicamente evanescente, esprime bene, però, una valutazione di valore tipicamente riservata al legislatore.
Diranno i costituzionalisti e i politologi se tutto questo sia normale dal punto di vista di una corretta divisione dei poteri.