La Corte costituzionale, con la sentenza del 22 gennaio 2024 n. 7, si è pronunciata sulla legittimità costituzionale della soppressione della tutela reintegratoria in materia di licenziamenti ingiustificati per motivo oggettivo per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015.
La vicenda trae origine dalla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’Appello di Napoli, con riferimento agli artt. 3, 1° comma, e 10 del D. Lgs. n. 23/2015, nella parte in cui prevedono solo la tutela indennitaria in ipotesi di illegittimità del licenziamento collettivo irrogato ai lavoratori assunti dopo il marzo 2015 per violazione dei criteri di scelta, coerentemente con quanto previsto per le ipotesi di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo.
Più in particolare, i punti salienti della sentenza sono tre.
Quanto al primo, la Corte d’Appello aveva rinvenuto la violazione dei criteri direttivi della legge delega che aveva escluso, per i “licenziamenti economici” di lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015, la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, riconoscendo un indennizzo economico e limitando invece il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato. La Consulta ha ritenuto legittima la tutela solo indennitaria, ribadendo che il diritto comunitario e la stessa Costituzione non impongono, in caso di licenziamento illegittimo, la tutela reintegratoria, ma una tutela comunque adeguata e dissuasiva. Tale statuizione opera sia per il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo sia per il licenziamento collettivo, essendosi la Corte espressa a favore dell’inclusione del licenziamento collettivo nel genus dei licenziamenti.
La seconda censura sollevata dalla Corte d’Appello di Napoli riguardava una irragionevole disparità di trattamento, nell’ipotesi di licenziamento avvenuto in violazione dei criteri di scelta, tra i lavoratori assunti prima e dopo il 7 marzo 2015. La Consulta ha ribadito che la norma non contrasta con il principio di uguaglianza, esprimendosi dunque a favore della legittimità costituzionale della differenza delle tutele tra gli assunti prima e dopo il 7 marzo, confermando in tal modo la ragionevolezza di una disposizione volta a favorire la nuova occupazione.
Quanto infine all’ultima censura, la Corte costituzionale ha affrontato la questione della congruità della indennità risarcitoria. Più in particolare, ha ritenuto legittimo il valore dell’indennità pari a 2 mensilità all’anno partendo da un minimo di 6 fino ad un massimo di 36 mensilità, strettamente correlate all’anzianità aziendale e calcolate sulla base dell’ultima retribuzione utile ai fini del computo del trattamento di fine rapporto, eventualmente elevato, entro il limite massimo, dal giudice sulla scorta dei criteri indicati dall’art. 8 della L. n. 604/1966, in simmetria con quanto previsto per i licenziamenti individuali dopo l’intervento della Consulta con la sentenza n. 196/2018.
Emerge dunque un forte richiamo al tema della graduazione delle tutele ed alle sue implicazioni sistematiche anche rispetto ai lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, soprattutto per quanto riguarda le ipotesi di licenziamento per motivo oggettivo ingiustificato per mancanza della prova del repêchage.
Da ultimo, si segnala che la Corte ha rivolto un monito al legislatore in quanto “la materia, frutto di interventi normativi stratificati, non può che essere rivista in termini complessivi, che investano sia i criteri distintivi tra i regimi applicabili ai diversi datori di lavoro, sia la funzione dissuasiva dei rimedi previsti per le disparate fattispecie”.
La Newsletter è proprietà di Studio Legale Carlo Pisani e Associati.
Per ulteriori approfondimenti sugli argomenti trattati contattare: