LE NUOVE COLLABORAZIONI ETERO-ORGANIZZATE, IL LAVORO TRAMITE PIATTAFORME DIGITALI E GLI INDICI PRESUNTIVI DELLA SUBORDINAZIONE
CARLO PISANI
Professore ordinario dell’Università di Roma “Tor Vergata”
in Argomenti di Diritto Del Lavoro n. 6/2019
sommario: 1. Il lavoro tramite piattaforme digitali stretto nel triangolo qualificatorio. – 2. L’uso poco consapevole dei fatti indizianti della subordinazione. – 3. I modi di esplicazione del potere direttivo. 4. Il secondo lato del triangolo e le leggi malfatte: le collaborazioni eterorganizzate (ante riforma). – 5. Ininfluenza ai fini qualificatori del d. l. 3 settembre 2019, n. 101.- 6. Le modifiche all’art.2, comma 1, D.lgs. n. 81/15, introdotte con la legge di conversione: a) non è più richiesta la prestazione esclusivamente personale. 7. segue: b) l’eliminazione della previsione dell’etero-organizzazione “anche” dei tempi e del luogo di lavoro. 8. Il terzo lato: la nozione legale di coordinamento introdotta dall’art. 15, l. n. 81/17.
Capitolo primo
- Il lavoro tramite piattaforme digitali stretto nel triangolo qualificatorio.
Il contenzioso giudiziario riguardante la qualificazione del rapporto di lavoro dei riders (o, come li definisce la legge 2 novembre 2019, n.128, dei lavoratori che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore attraverso piattaforme digitali), ha fatto (ri)emergere tra gli interpreti il senso di incertezza e smarrimento che si ripropone ogni qual volta si presenti sulla scena del mercato del lavoro una modalità inedita di svolgimento di una determinata attività lavorativa[1].
Questa volta si tratta del lavoro tramite piattaforme digitali, di cui il fenomeno dei riders ne rappresenta soltanto una modalità forse marginale, nell’ambito di quella che è stata denominata “l’economia delle piattaforme”, fondata essenzialmente nell’acquisizione e nella gestione di dati e flussi di informazioni, i quali investono anche le modalità di svolgimento dell’attività lavorativa da parte del dipendente o collaboratore[2].
Le suddette realtà hanno indotto e sollecitato il legislatore ad intervenire con il decreto-legge n. 101/2019, recante disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e delle crisi aziendale e poi con la legge di conversione 2 novembre 2019, n. 128.
Il legislatore ha colto l’occasione, innanzitutto, per effettuare una “manutenzione” della norma sulle collaborazioni c.d. “etero-organizzate” apportando due modifiche di carattere generale al comma 1, dell’art. 2, d. lgs. n. 81/15 (cfr. par. 6 e 7). Nello specifico poi ha aggiunto un ulteriore periodo a tale comma ove vengono prese in considerazioni le modalità di lavoro mediante piattaforme anche digitali, per estendere espressamente anche ad esse l’applicabilità della fattispecie prevista dal medesimo comma.
Oltre a ciò la legge prevede livelli minimi di tutela per i riders non subordinati né etero organizzati ex articolo 2, d. lgs n. 81/15, introducendo una definizione di piattaforma digitale, individuata nei “programmi” e nelle “procedure informatiche utilizzate dal committente che , indipendentemente dal luogo di stabilimento, sono strumentali alle attività di consegna dei beni, fissandone il prezzo e determinando le modalità di esecuzione della prestazione” (art.1, lett. c, che inserisce l’art.47 bis nel d. lgs. n. 81/15).
Sul fenomeno della digitalizzazione e sulle sue ricadute nel mondo del lavoro, il giurista è costretto a inseguire lemmi a lui estranei, ma forse è in grado di cogliere un dato essenziale e cioè che, al fondo, queste nuove tecnologie comportano l’entrata in scena dell’algoritmo, una sorta di nuovo moloch al cui cospetto avvertiamo un certo disagio per le sue capacità misteriose, ai più, di incrociare e elaborare dati sulla cui base fornire quelle che dovrebbero essere in teoria le indicazioni più efficienti possibili anche per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro. Ma, sempre per il giurista, neppure l’algoritmo può sfuggire ad Aristotele e alla sua logica del sillogismo[3], e quindi occorre sussumerlo in una fattispecie astratta. Il problema è che questa fattispecie risale al 1942, sia pure nella sua versione aggiornata dell’art. 2, d. lgs. n. 81/15, la quale adotta infatti la medesima tecnica normativa che affonda le sue radici sempre nel metodo barassiano della subordinazione.
In questa situazione, compito della dottrina dovrebbe essere allora quello di porre alcune coordinate generali, di fornire indicazioni di metodo, di fissare alcuni punti fermi, per aiutare la giurisprudenza nella decisione del caso concreto, altrimenti correndosi rischio che avvertiva il primo presidente della Cassazione nel 2015, e cioè di andare alla deriva del diritto liquido[4]. Senonché, sull’affievolirsi del ruolo della dottrina e sulle sue cause sono state spese autorevoli parole[5] e, rispetto al diritto del lavoro, sembrano particolarmente conferenti le riflessioni di S. Cassese che vede la dottrina stessa più interessata ad inseguire la giurisprudenza commentando “ogni singolo vagito dei giudici, piuttosto che svolgere il ruolo proprio della scienza che è quello di interpretare, ordinare a sistema, fissare nuovi punti di vista, anticipare svolte della giurisprudenza”[6].
Per tentare allora di porre alcuni punti fermi, occorre avere la consapevolezza, e quindi prendere atto, che in argomento l’interprete si trova stretto in una specie di (o intrappolato in un) “triangolo carcerario”[7], di cui un lato è costituito dall’ uso poco consapevole degli indici presuntivi della subordinazione; l’altro è rappresentato dall’articolo 2, d. lgs. n. 81/2015; il terzo lato è dato dalla nozione legale di coordinamento introdotto dall’art. 15, legge 81/2017.
[1] Cfr. R. De Luca Tamajo, “La sentenza della Corte d’Appello di Torino sul caso Foodora. Ai confini tra autonomia e subordinazioni”, in Lavoro, Diritti, Europa; V. Maio, “Il lavoro per piattaforme digitali tra qualificazione del rapporto e tutele”, in Arg. dir. lav., 2019, n. 3, p. 583 ss.; R. Del Punta, “Sui Riders e non solo: il rebus delle collaborazioni organizzate dal committente” in Riv. it. dir. lav., 2019, II, p. 358 ss.; M.T. Carinci, “Il lavoro eterorganizzato si fa strada sulle ruote dei riders di Foodora”, ivi, p. 350 ss.; P. Ichino, “Subordinazione, autonomia e protezione del lavoro nella gig-economy”, in Riv. it. dir. lav., 2018, II, p. 294; E. Dagnino, “Ancora ostacoli sulla “via giurisprudenziale alla protezione dei lavoratori della gig-economy in Italia”, in Arg. dir. lav., 2019, p. 156; C. Pisani, “Riders <>, un improbabile tertium genus”, in Guida al lav., 2019, n.11, p. 21. R. Sciotti, “Tecnologia digitale e rapporto di lavoro”, e ivi ulteriore bibliografia, in Riv. Inf. Mal.Prof., 2, 2018, p. 167.
[2] Cfr. R. Sciotti, “Tecnologia digitale e rapporto di lavoro”, cit., p. 182; V. MAIO, “Il lavoro per piattaforme digitali”, cit. 583 e ivi ulteriore bibliografia.
[3] A difesa della “razionalità sussuntiva” della fattispecie, per tutti, N. Irti, “Un diritto incalcolabile”, Torino, 2016, p. 33 e ss.
[4] Cfr. G. Canzio, “Calcolo giuridico e nomofilachia”, in AA.VV., “Calcolabilità giuridica”, Il Mulino, Bologna, 2017, p. 172.
[5] Cfr. M. Persiani, “Diritto del lavoro e autorità dal punto di vista giuridico”, in Arg. dir. lav. 2000, p. 10 ss.
[6] Così S. Cassese, “Degli usi e abusi della giurisprudenza (e dei suoi limiti) nel diritto pubblico”, in “Rivista italiana di scienze giuridiche”, 2013, p. 137.
[7] Quella del triangolo carcerario è metafora mutuata da E. Zolla, “La potenza dell’anima”, RCS libri, Milano 2008, p. 20 ss., secondo cui l’uomo vivrebbe in una trilaterale prigione oscillando tra il sentimento, la scienza e le sensazioni del corpo, nei cui confronti non di rado mostra disagio e addirittura angoscia e paiono non farlo felice né il benessere materiale, né la perizia tecnica, né il compiacimento sentimentale che gli vengono suggeriti come paradisi, ed è come se egli avesse nostalgia d’altra e diversa cosa.