“Insussistenza del fatto contestato” diventa “insussistenza della contestazione del fatto”: giochi di parole per passare dall’indennità ex sesto comma alla reintegra ex quarto comma
Carlo Pisani
Professore ordinario di Diritto del lavoro
Università degli Studi di Roma Tor Vergata
in Diritto delle Relazioni Industriali, n. 2/2020
Cass. 24 febbraio 2020, n. 4879 (in Boll. ADAPT, 2020, n. 18).
Licenziamento disciplinare – Contestazione di addebiti differenti da quelli risultanti dalla lettera di licenziamento – Tutela reintegratoria ex art. 18, quarto comma, l. n. 300/1970 – Applicabilità.
Nel caso in cui la motivazione del licenziamento per giustificato motivo soggettivo o giusta causa contenga circostanze di fatto differenti e ulteriori rispetto a quelle riportate nella contestazione di addebito, appare preferibile che il suddetto licenziamento continui, come in passato, ad essere considerato ingiustificato e sanzionato con la reintegrazione ad effetti risarcitori limitati ex quarto comma.
Sommario: 1. I nostalgici del vecchio art. 18 Stat. lav. – 2. La distinzione, anche ai fini sanzionatori, fra l’assenza o genericità della contestazione e l’assenza della giustificazione del recesso. – 3. Il contrasto con le Cass., sez. un., n. 30985/2017. – 4. Infondatezza dei dubbi di costituzionalità del sesto comma. – 5. La rilevanza del vizio procedimentale nella giurisprudenza costituzionale.
1. Dopo il «può» reintegrare, che diventa «deve» reintegrare, di cui all’art. 18, settimo comma, secondo periodo (Cass. 21 marzo 2017, n. 7167; Cass. 14 luglio 2017, n. 17528; contra, Cass. 2 maggio 2018, n. 10435; cfr., per un commento, C. PISANI, Il regime sanzionatorio del licenziamento alla deriva del diritto liquido, in RIDL, 2019, n. 3, I, p. 353), e dopo la norma “scriteriata”, cioè senza criteri, creata dal dispositivo della sentenza della Corte costituzionale 8 novembre 2018, n. 194 (cfr., per un commento, C. PISANI, La Corte costituzionale e l’indennità per il licenziamento ingiustificato: l’incertezza del diritto “liquido”, in MGL, 2018, n. 1, p. 149), non poteva mancare ora la trasformazione di un vizio procedimentale, sanzionato con la sola indennità (ex sesto comma, art. 18 Stat. lav., e art. 4, d.lgs. n. 23/2015), in una ingiustificatezza grave del licenziamento (sanzionata invece con la reintegrazione a risarcimento limitato, ex quarto comma, art. 18, e art. 3, comma 2, d.lgs. n. 23/2015), mediante un gioco di prestigio con le parole della legge, interpretando la locuzione “insussistenza del fatto contestato” come se fosse scritto “insussistenza della contestazione del fatto”. Peraltro vi è un precedente della Suprema Corte che ha sostenuto una simile interpretazione, anche se in quel caso era vi era almeno il “radicale difetto” di contestazione (Cass. 14 dicembre 2016, n. 25745), mentre in quello deciso da Cass. n. 4879/2020 in commento la contestazione dell’addebito vi era stata, ma poi nella lettera di licenziamento erano stati aggiunti fatti ulteriori. Sicché, non trattandosi più di una sentenza isolata, non è inutile sottoporre questa tesi a vaglio critico, nella speranza che non si consolidi nella giurisprudenza della Suprema Corte (in dottrina, sostengono l’applicabilità del quarto comma nel caso di omessa o generica contestazione dell’addebito, pur mediante differenti percorsi argomentativi, V. SPEZIALE, La riforma del licenziamento individuale tra diritto ed economia, in RIDL, 2012, n. 3, III, p. 544; M. MARAZZA, Il regime sanzionatorio dei licenziamenti nel Jobs Act, in ADL, 2015, n. 2, I; M.T. CARINCI, Il rapporto di lavoro al tempo della crisi: modelli europei e flexicurity “all’italiana” a confronto, in DLRI, 2012, n. 136, p. 555; F. CARINCI, Ripensando il “nuovo” art. 18 dello Statuto dei lavoratori, in ADL, 2013, n. 3, I, p. 481. Favorevoli invece all’applicazione del sesto comma C. CESTER, Le tutele, in E. GRAGNOLI (a cura di), L’estinzione del rapporto di lavoro subordinato, Cedam, 2017, pp. 1001, 1114 e 1118; A. VALLEBONA, La riforma del lavoro 2012, Giappichelli, 2012, p. 65; A. MARESCA, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche dell’art. 18 Statuto dei lavoratori, in RIDL, 2012, n. 2, I, p. 435; C. PISANI, Il licenziamento inefficace per vizio di forma, in GI, 2014, n. 2, p. 441; M. TREMOLADA, Il licenziamento disciplinare nell’art. 18 St. lav. per la riforma Fornero, in LG, 2012, n. 10, p. 873. Il dibattito è ripercorso da E.M. MASTINU, Le irregolarità procedurali tipiche e atipiche nella disciplina di tutela contro i licenziamenti illegittimi, in ADL, 2019, n. 4, I, p. 728).
Si tratta, in effetti, di un più generale atteggiamento di una parte della giurisprudenza che è stato definito di resistenza, o “negazionista” (cfr. C. CESTER, I licenziamenti fra passato e futuro, in ADL, 2016, n. 6, I, p. 1107, con particolare riferimento al dibattito dottrinale), nei confronti delle novità del Jobs Act, se non addirittura diretto ad un vero proprio suo smantellamento per via giudiziale (cfr. P. ICHINO, La Cassazione e il Jobs Act, in Lavoce.info, 24 maggio 2019), in una sorta di “redde rationem” tra “vincitori e vinti” (cfr. F. AMENDOLA, La disciplina dei licenziamenti nel Jobs Act dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 194 del 2018, in RIDL, 2019, n. 3, I, p. 315) in relazione alla stagione del Job Act. Pertanto la definizione più appropriata di questi orientamenti è probabilmente quella di “nostalgici” del vecchio art. 18, e cioè di quella tecnica normativa caratterizzata dall’ appiattimento, o dalla uniformità sanzionatoria massima, nei confronti delle più diverse tipologie di illegittimità del licenziamento, con il risultato di equiparare un licenziamento, palesemente ingiustificato o discriminatorio con uno giustificato, ad esempio, da fatto gravissimo commesso dal dipendente, ma illegittimo per un vizio procedimentale o formale, senza alcuna possibilità per il giudice di graduare tali conseguenze a seconda della gravità dell’illegittimità. Vi è un’ affermazione della sentenza in esame che, quasi dal “sen fuggita”, mette in evidenza questa nostalgia per il passato, svelando la precomprensione su cui si fonda il suo iter argomentativo, laddove si legge che, nonostante l’interpretazione letterale della legge dovrebbe condurre ad applicare la tutela indennitaria prevista dal sesto comma anche in caso di omessa contestazione dell’addebito, e pur in presenza di un valido motivo di licenziamento, tuttavia, come in passato, appare preferibile la diversa interpretazione secondo la quale, ove il licenziamento venga intimato senza contestazione, esso debba continuare ad essere sanzionato con la reintegrazione. Questo modo di argomentare si inscrive nella più ampia tendenza definita, mutuando l’efficace metafora di Baumann (così Z. BAUMAN, Modernità liquida, Laterza, 2011, pp. 22 ss.), del “diritto liquido”, caratterizzata, tra l’altro, dall’enfatizzazione dell’attività creativa dei giudici, che ha fatto parlare di una vera e propria «età della giurisdizione» (C. CASTRONOVO, Eclissi del diritto civile, Giuffrè, 2015, p. 87, che parla di «giurisprudenza creativa e dottrina remissiva»; M. PERSIANI, Diritto del lavoro e autorità del punto di vista giuridico, in ADL, 2000, n. 1, I, pp. 10 ss., che parla di «scadimento della sua autorità» proprio in ragione della prevalenza del ragionamento valutativo rispetto al punto di vista giuridico; S. CASSESE, Degli usi e abusi della giurisprudenza (e dei suoi limiti) nel diritto pubblico, in Rivista Italiana per le Scienze Giuridiche, 2013, n. 4, p. 137, che parla di affievolimento del ruolo della dottrina, più interessata a inseguire la giurisprudenza piuttosto che svolgere il ruolo proprio della scienza che è quello di interpretare, ordinare a sistema, affermare nuovi punti di vista, anticipare scelte della giurisprudenza), anche in conseguenza del soggettivismo ermeneutico, della svalutazione della parola della legge, della crisi della fattispecie, che porta ad approdi interpretativi contraddittori e comunque instabili, in quanto esposti ai mutamenti continui, proprio come i fluidi che «non conservano mai a lungo la propria forma e sono sempre pronti ed inclini a cambiarla» (Z. BAUMAN, op. cit., p. 22); e tutto ciò viene ritenuto “normale” se non auspicabile.